coordinato da / coordinate by: Gianfranco Capitta
interverranno / with the participation of: Claudio Longhi, Maria Teresa Megale, Gianfranco Pedullà, Angelo Savelli, Francesca Simoncini
- proiezione del documentario / showing of the documentary: “Ogni giorno è Capodanno” di Lucia Luconi, Rai Educational
Contemporanea /Colline/Festival 2008 rivolge un particolare ringraziamento a Idee Arte Eventi, Stefano Lippi, Angela Dal Piaz, Paolo Modugno
in collaborazione con / in collaboration with: l’Assessorato alla Cultura del Comune di Prato
Bionda platino come Jean Harlow, politicamente feroce come Helene Weigel, sorniona e popolaresca come una Gallina vecchia toscanaccia, svagata e sferzante come una borghesona francese secondo Cocteau, stellare e sibillina come la Nova che Peter Handke spingeva prematuramente Attraverso i villaggi. Ma soprattutto decisa e potente come Clitennestra, e le Baccanti tutte, e le mille altre creature che Luca Ronconi aveva costruito con lei. Quante facce aveva Marisa Fabbri? Una sola naturalmente, la sua, affilata e sagace, che lei padroneggiava in maniera totale. Come padroneggiava la sua voce straordinaria e musicale, che insieme all’occhio chiaro e interrogativo resta il ricordo più grandioso e struggente di lei. Eppure, aveva creato un mito nel teatro italiano. Per i molti personaggi ovviamente, per l’originalità di ogni sua interpretazione, per essere stata l’unica ad aver dato corpo prima alla poetica di Giorgio Strehler e poi a quella di Ronconi. Così come di Aldo Trionfo o dei molti altri con cui aveva lavorato. Ma Marisa era curiosa, e attratta dall’abisso dell’intelligenza e del nuovo. A sentirla come la raccontava lei, pareva fosse venuto quasi naturale quel passaggio da via Rovello alla cooperativa Tuscolano, che coincideva per altro col crinale storico della fiamma sessantottesca. Ma non doveva esserlo stato affatto, quanto piuttosto frutto di una scelta sofferta e coraggiosa, seppure elegantemente vestita (come lei di Armani) di quel suo sorriso all’apparenza gentile e aggraziato, quanto determinato e solo all’apparenza pudico. Due ricordi tra i tanti si incrociano a Prato. All’hotel Flora dove si rifiutava ad ogni visita o intervista o chiacchiera perché preparava il suo personaggio maschile in Ignorabimus che doveva portare in scena ogni sera per settimane, anche nelle maratone di nove ore. Era impossibile riconoscere in quel suo sfuggire schiva, la furia indemoniata che qualche anno prima ci aveva guidato lungo le stanze e i corridoi del Magnolfi dentro e fuori degli abissi dionisiaci delle Baccanti, quasi avesse fatto proprie, con le parole di Euripide, le pieghe più oscure dei riti meno confessabili.
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A platinum blonde like Jean Harlow, politically fierce like Helene Weigel, as mischievous and folksy as a rough Tuscan Gallina vecchia, absent-minded and cutting like one of Cocteau's big French bourgeois ladies, stellar and sibylline like the Nova which Peter Handke prematurely pushed along Walk about the villages. But above all decisive and powerful like Clytemnestra and all the Bacchantes, and a thousand other characters which Luca Ronconi created for her. How many faces did Marisa Fabbri possess? Only one, of course, her own, sharp and shrewd, and of which she was in total control. How did she master her extra-ordinary and musical voice, which with her clear and questioning eyes, remain the greatest and most evocative memory of her? And yet, she became a legend in the Italian theatre. For her many characters, for the originality of each of her interpretations, for having been the only one to have given life, first to the poetics of Giorgio Strehler and second to those of Ronconi. As she did with Aldo Trionfo and the many others with whom she worked. But Marisa was curious, and attracted to the broad sweep of intelligence and everything that is new. Were you to believe her stories, the passage that took her from via Rovello to the Tuscolano cooperative seemed almost predestined, coinciding with the heyday of the 1968 revolution. But it couldn't have been —rather, it was the fruit of an agonising and courageous choice, even if elegantly dressed (as she was in Armani) by that smile seemingly friendly and full of grace, while equally determined and only modest in appearance. Two memories, out of the many, cross paths in Prato. At the hotel Flora where she refused every visit, interview and chat because she was working on her male role in Ignorabimus which she had to take on every night for weeks, even during the nine-hour marathons. It was impossible to recognise in that bashful defiance, the possessed fury which a few years before had lead us through the rooms and corridors of the Magnolfi, inside and out of the Dionysian abysses of the Bacchantes, as if she had made the darkest aspects of the unmentionable rites, into her very own, through the words of Euripides.
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Oltre che per gli spettacoli che realizza oggi da autore, Bruce Myers, inglese di Manchester, è noto soprattutto per essere uno dei volti e dei corpi di tante indimenticabili creazioni di Peter Brook a Parigi. Da circa trent’anni collabora alle Bouffes du Nord con il maestro: da Les Iks alla Conference des Oiseaux, a quell’Ubu che rese Brook un idolo delle masse teatrali anche in Italia. E proprio a Prato, unica tappa italiana di quel kolossal della fantasia e della poesia, Myers è stato immortalato nel Mahabharata. Ma la sua storia d’artista comincia prima, e non sorprende che sia nata tra i classici. In verità, appena ventenne, con le novità di Albee e Ionesco, ma subito ci fu il passo verso Shakespeare, e poi Molière e Beckett fino alla Royal Shakespeare Company. Per essere oggi un maestro lui stesso.
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